Trasformazione digitale: solo un’azienda su tre ha un modello efficiente di servizi HR

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Le aziende italiane che sono state capaci (in parte) di sopravvivere alla crisi tagliando il tagliabile, saranno capaci di sopravvivere alla ripresa che, finalmente, sembra essere arrivata o a forza di stringere la cinghia rischiano di soccombere in vista del traguardo per l’incapacità di attirare e valorizzare persone in grado di gestire il “nuovo mondo” portato dalle tecnologie?

La domanda è tutto meno che retorica.

Se la è posta Mercer, probabilmente la più nota firm internazionale di gestione del personale con il “HR Transformation study 2017” indagine condotta a livello globale (intervistando i responsabili delle risorse umane di oltre 300 aziende multinazionali di 43 paesi, fra cui l’Italia) che si è proposto di capire quali sono i modelli di gestione del personale delle grandi aziende. Non stupisce l’affermazione che «le direzioni HR “altamente performanti” (cioè che funzionano bene e dunque contribuiscono al successo dell’azienda) sono caratterizzate dalla capacità di fare evolvere il proprio modello di organizzazione interna, rafforzare le capacità strategiche dei propri collaboratori, e digitalizzare sia i processi che l'”esperienza-utente” del dipendente». Tradotto dal linguaggio un po’ criptico dei consulenti, le aziende che hanno direzioni HR che funzionano sono quelle che investono in formazione dei dipendenti e dei collaboratori, che tendono a delegare loro funzioni strategiche (e dunque a conferirgli un maggior livello di autonomia decisionale), che investono in tecnologie digitali applicate non solo ai processi produttivi e commerciali, ma anche a migliorare la vita interna all’azienda di chi vi lavora. Sorprendente? Francamente sorprenderebbe il contrario.

«Il potere predittivo di Analytics e Big Data, la presenza capillare dell’automazione, gli spunti dell’intelligenza artificiale e dell’industria 4.0 – tutti fattori che possiamo sintetizzare come “digitalizzazione” obbligano le imprese a ridisegnare la loro organizzazione interna, i processi aziendali e le competenze richieste. Le organizzazioni stanno ricercando maggiore efficienza e maggiore agilità in risposta al cambiamento», commenta Marco Valerio Morelli, amministratore delegato Mercer Italia, «e questo richiede necessariamente l’adozione di un mix complesso di tecnologie, senza dimenticare la centralità dell’elemento umano».

Più sorprendente, piuttosto, il fatto che soltanto poco più di un terzo (il 35%) delle aziende interpellate «si avvale di un modello di erogazione dei servizi HR che bilanci le componenti considerate come tipiche delle direzioni risorse umane altamente performanti». Dunque, banalizzando (ma non troppo) i risultati dell’indagine, non è solo in Italia e non solo nelle PMI famigliari che la gestione del personale non viene tenuta adeguatamente in considerazione come elemento strategico per il successo dell’impresa. Questa impostazione rimane patrimonio di una minoranza di aziende.

Nella fattispecie l’indagine individua tre caratteristiche principali che determinano il successo delle direzioni HR “altamente performanti”: la prima è l’allineamento della direzione HR con l’amministratore delegato. Circa il 70% delle aziende che fanno registrare le prestazioni migliori nella gestione delle risorse umane vede almeno due incontri mensili fra la direzione del personale e i vertici aziendali per una “messa a punto” strategica delle politiche di personale rispetto agli obiettivi aziendali. La seconda è la definizione di indicatori chiave di prestazione (KPI) per definire l’efficacia delle prestazioni delle persone (interne o consulenti esterni) che agiscono sulla gestione del personale rispetto al valore aggiunto portato alle singole linee di business. Questo tipo di monitoraggio, nelle aziende “altamente performanti” è mediamente presente tre volte più che in quelle che non lo sono. Il terzo fattore è la formazione avanzata del personale HR, svolta con approccio consulenziale e generalmente attraverso strumenti digitali, presente ben sette volte di più che nelle aziende che non fanno parte di questo gruppo. 

L’indagine mostra che più di due terzi (68%) delle direzioni HR “altamente performanti” hanno ridisegnato la loro struttura negli ultimi cinque anni. In conseguenza, le decisioni in materia di risorse umane vengono prese in maniera centralizzata e i processi e le prassi sono coerenti in tutte le sedi. Le organizzazioni con funzioni “altamente performanti” allineano le prassi HR e quelle dei centri di eccellenza a una strategia di business più vasta, delegando ai servizi condivisi le attività a minor valore aggiunto, investendo invece sulla formazione e la crescita delle persone in una direzione più strategica e di vicinanza al business. «Le direzioni delle risorse umane – spiega Alberto Navarra, HR Transformation Leader Mercer Italia – che hanno adottato diffusamente modelli di servizi condivisi si sono dimostrate le più efficaci nell’allineare le politiche del personale alle esigenze di business dell’azienda».

In parallelo, secondo Navarra, si aprono grandi prospettive per le aziende capaci di applicare le nuove soluzioni offerte dalla tecnologia al processo di selezione e gestione del personale, coinvolgendo sempre più i dipendenti stessi: «Vedo significative opportunità per la funzione HR di aumentare ancora la propria presenza digitale: per esempio solo il 27% tra le realtà più all’avanguardia dispone già di applicazioni mobile per la selezione del personale». «La revisione dei modelli di servizio», prosegue Navarra, «non può più prescindere da un criterio di centralità del dipendente. Le aziende non possono non ascoltare la “voce dei collaboratori”, perché sono le stesse persone, facendo leva su diversi strumenti (per esempio le piattaforme social) a far sentire la loro voce e il loro eventuale dissenso in maniera del tutto differente rispetto al passato in una modalità autonoma e disintermediata. Dobbiamo ripartire dai fondamentali ma ripensandoli radicalmente grazie all’elasticità organizzativa che ci dà il digitale, dove le logiche di esperienza, usabilità, soddisfazione di un servizio sono i pilastri che discriminano nuovi servizi digitali da quelli “tradizionali solo più automatizzati”».

 

FONTE: https://limpresaonline.net/